Credevamo che la violenza sulle donne fosse qualcosa che non ci appartiene, che fosse qualcosa di distante da noi;
Credevamo che la violenza sulle donne fosse radicata nei ceti più umili;
Credevamo che la violenza sulle donne fosse legata alla gelosia e al desiderio sessuale;
Credevamo, un po’ tutti dentro di noi, che la violenza sulle donne quelle donne fossero un po’ andate a cercarsela: imprudenti, drogate, ignoranti, deboli, disagiate, ingenue, incapaci di valutare che dietro la figura apparentemente dolce del proprio compagno si nascondesse un carnefice;
Credevamo che la violenza sulle donne non avesse un impatto minore sui figli e che questi, chiusi nelle loro stanze o fuori a giocare in giardino o a casa della nonna, fossero praticamente ignari del dolore atroce che si consumava tra le urla nella camera da letto dei genitori;
Credevamo che questa violenza fosse soprattutto una violenza di genere. Ed avevamo torto, perché in realtà la violenza tra le mura di casa non miete vittime solo tra le donne.
Si chiama violenza domestica e coinvolge tutti, a tutte le età, a tutti i livelli sociali, quale che sia l’etnia, il credo religioso, l’orientamento sessuale. E questa violenza lascia dei segni visibili tanto sulla pelle quanto sulla psiche delle vittime. Ce ne ha parlato Simonetta Agnello Hornby, scrittrice italiana (naturalizzata britannica) e avvocato minorile ad aver per prima fondato in Inghilterra uno studio legale che si occupa di violenza domestica.
Accompagnata dalla musicista Filomena Campus, Simonetta ha dato voce ai propri clienti che sono stati vittime di violenza domestica, raccontandoci senza edulcorazioni alcune le loro storie, i loro traumi e le loro paure.
Nell’accogliente e profumato pub-café Sunflower&I, noi privilegiati spettatori non abbiamo semplicemente assistito a un meraviglioso e profondo monologo musicale, ma abbiamo anche imparato che quello che credeva Simonetta, e che anche noi credevamo, è parziale e frutto di stereotipi condivisi.
Abbiamo imparato che la violenza domestica ci può ledere in modo più o meno diretto in qualsiasi momento;
Abbiamo imparato che dietro la persona violenta c’è spesso un’infanzia infelice, fatta delle stessa violenza di cui il violento oggi è colpevole;
Abbiamo imparato che dietro l’omertà non c’è la cecità di una vittima troppo innamorata, c’è invece lo smarrimento di chi non riconosce più nel/-la proprio/-a partner la persona di cui ci si era innamorati, la paura di disintegrare una famiglia, la convinzione di poter proteggere i figli e che ciò che si sta vivendo sia un momento di passaggio;
Abbiamo imparato che noi in prima persona possiamo fare tanto per le vittime e per i loro figli;
Abbiamo imparato che, per quanto sia un argomento triste e doloroso, di violenza si deve parlare per sensibilizzare gli altri e per ricordarci che nessun essere umano ha il diritto di esercitare un potere fisico e/o psicologico su nessuno né tantomeno sulle persone amate, che sono il tesoro più grande che abbiamo.